14.1.07

Curriculum Vitae de Lidia Ferrari (Tango)

Lidia Ferrari è maestra di Tango, psicoanalista e scrittrice argentina.
Dal 2008 risiede a Treviso dove insegna Tango Argentino.

ESPERIENZA CON IL TANGO:
Balla il tango dal 1989 e si dedica a ballare e a coltivare questa passione e a indagare la storia del tango. Si è formata con grandi maestri argentini quali Celia Blanco, Gustavo Naveira, Jorge Firpo, Omar Vega, Pepito Avellaneda, Mingo Pugliese, Teté e altri. Lidia Ferrari è maestra di Tango dal 1993 e il suo Studio ha formato centinaia di allievi provenienti da tutto il mondo. Come maestra di Tango ha insegnato e insegna in Argentina, Uruguay, Francia, Italia, Spagna e Stati Uniti e si è esibita tanto in Argentina quanto all’estero. Lidia Ferrari ha scritto diversi articoli sul Tango pubblicati in riviste nazionali e straniere, alcuni dei quali si possono leggere nel seguente sito: www.buenosairestango.com.
2001: Invitata come professore per il Dipartimento di Arti e Cultura del Mondo (Departament of World Arts and Cultures - UCLA), presso l´Università di California, Los Angeles, USA, per insegnare a ballare il tango e per relazionare sulla storia del tango. Invitata come ballerina pero contribuire a la realizzazione della coreografia de la Opera Tango Thriller “Angora Matta”, de Marta Savigliano.
2008: Diciembre: Coreografa e Ballerina con Guido Schiabel en la Opera Maria de Buenos Aires, de A. Piazzolla y H. Ferrer. Direttore Marco Tezza. 18/12: Teatro Lorenzo Da Ponte, Vittorio Veneto. 19/12: Teatro Astra de Vicenza.

Come ballerina e ricercatrice di storia e evoluzione del Tango ha realizzato le seguenti attività:
Nel 1996 Direttrice dell’Area Culturale della Prima Expo-Fiera della musica Cittadina, Tango Mundo, realizzata a Buenos Aires. Co-direttrice e organizzatrice degli Incontri di Tango nella sopracitata Expo-Fiera. Incaricata dell’organizzazione delle 19 tavole rotonde di questi Incontri, con la partecipazione dei maggiori specialisti del tango del paese: "Las mujeres y el tango". Co-ordinatrice delle tavole rotonde “El tango y los medios de comunicación", "Los jóvenes y el tango", "Las letras y los letristas de tango", "Historia del tango", "Diferentes enfoques para los estudios del tango" y "El tango en el mundo".
1996: Invitata Ufficiale alla III Cumbre Mondiale del Tango tenuta a Montevideo, Uruguay, dal 4 al 17 novembre. Invitata alla tavola rotonda "Las diferentes imágenes de mujer a través de las letras de tango".
1998: Organizzatrice del Ciclo Buenos Aires Tango nel Centro Culturale del Borde, dipendente dalla Municipalità della città di Buenos Aires. Conferenza: "El lugar de la mujer en el tango: en las letras y en el baile".
2000: Spettacolo organizzato per il Governo della Città di Buenos Aires “La milonga de los Barrios”.
1999-2000: Invitata presso la Cattedra di Tradizione e Cultura Argentina, Universita di Belgrano, Argentina. Esibizione e spiegazione teorica sui diversi stili del tango e dissertazione sulla storia del tango.
2000: Ricercatrice e autrice nel progetto “Los Origenes del Tango” di Ars Media SnC, Torino, Italia. Produzione di un CD-Rom multimediale dedicato alla nascita di questo genere musicale dal 1870 al 1930.
2002: Invitata per il Hospital Ameghino, Ciudad de Buenos Aires. Esibizione e spiegazione teorica sui diversi stili del tango e dissertazione sulla storia del tango.
2003-2004: Invitata pero il Hospital Esteves, Temperley, Buenos Aires. Esibizione e spiegazione teorica sui diversi stili del tango e dissertazione sulla storia del tango.
2008: Docente del Corso di Storia del Tango, a Roma, in la Accademia Nazionale Italiana di Tango Argentino.
2008: Maestra del Stage “Musicalità e tecnica femminile”, in 2° Festival Internazionale di Tango Argentino, Cavallino – Treporti (Venezia). Maggio, Giugno 2009
2009-oggi: Maestra di Tango Argentino a Silea, Treviso.  
2009 – oggi: Invitata in varie cità di Italia e Francia per Stage, conferenze e presentazione dei suoi libri.
2013: Esibizioni con il maestro Jorge Firpo. 
2013: Invitata al Programa UNO MATTINA CAFFÈ, di RAI 1 e all' Ambasciatta Argentina a Roma.  Novembre.

Pubblicazioni:
1996: “A praise to the Milonga”, versione inglese di "Elogio de la milonga", in El Firulete, Volume 3. Issue 4, “The Argentine Tango Newsletter”, California (US).
1996: “Las mujeres en el tango”. In El Tangauta, Anno 1, Número 6. Buenos Aires.
1996: "Is Tango macho?" (traduzione inglese di: "El lugar de las mujeres en el tango"), in Journal of the Bay Area Argentina Tango Association, B.A. GOTAN, Estate 1996, Volume 1, Numero 3.
1996: Contributi alla rivista di tango "Voz del Tango", anno uno, Volume Sei, pubblicata da M. Bodine, a Los Angeles, California, in inglese. Articoli: “Why Dancing Tango is good for you!
1997: "La Tangomanía en 1913 y en 1997, París y Buenos Aires", in El Tangauta, Anno 2, Numero 33, Buenos Aires.
1998: "Transformaciones en los modos de bailar" nella guida quindicinale di musica popolare porteña: "B.A. TANGO, Buenos Aires tango", pubblicazione periodica di Tango a Buenos Aires, anno IV, Numero 71, seconda quindicina di marzo 1998. Editore responsabile: Tito Palumbo.
1998: "El papel de la mujer en el tango", nella rivista TANGONEON, Aprile 1998. Anno III/Numero 11 a Madrid. Pubblicazione dell’Associazione "Amigos del Tango" di Madrid.
1998: Pubblicazione dell’articolo "Ist Tango ein Macho-Tanz?", (versione in tedesco di "El lugar de la mujer en el tango"), in TANGO INFO, Nr. 14, Undorf, Germania. 1998: "Is Tango Macho?" (vertaling nederlandse) (versione olandese) in La Cadena, Nr. 44. Direttore Jan Dirk van Abshoven, Utrecht, Olanda.
1998-oggi: Realizzazione e progettazione del sito web: www.buenosairestango.com, spazio culturale per la conservazione, diffusione e consolidamento del tango. Detto sito è stato riconosciuto come uno dei dieci migliori siti in lingua castigliana tanto per contenuto quanto per design.
2000: Pubblicazione di due articoli;“Il ruolo della donna nel tango" e "Elogio alla milonga" in "Il Tango. Sentimento e Filosofia di Vita" di Elisabetta Muraca, Milano, Italia, 2000.
2005: Pubblicazione di due articoli: “Tango, un dialogo fra due sensibilitá" e “L´Uomo conduce ma la donna non é una marionetta” in Tangologia di Giorgio Lala, in edizioni Sigillo, Lecce, Italia.
2007: Pubblicazzione di due articoli: ““Tango, un dialogo fra due sensibilitá" e “La miglior ballerina di tutti i tempi”, en Tangologia III di Giorgio Lala, in edizioni Sigillo, Lecce, Italia.
2011: Libro “TANGO. Arte y Misterio de un baile”. Ed. Corregidor. Buenos Aires. (in Spagnolo). 
Presentazioni del libro “Tango. Arte y misterio de un baile”:
 - 29 agosto 2011: Academia Nacional del Tango, Buenos Aires.
-  10 settembre 2011: Biblioteca Popular R. Obligado, San Pedro, Buenos Aires.
 2011: Libro “Tips & Secrets For Dancing Tango. Lead & Follow” (In Inglese) (E-book. Kindle-Amazon/2011)  
 2012: Libro “El baile del Tango y sus secretos” (In Spagnolo)- (E-Book. Kindle-Amazon/2012)
2013: Libro “Tango. I segreti di un ballo” (In Italiano) – Gremese Editore.
2013: Libro “Tango. Les secrets d’une danse” (En Francais) – Gremese Editore
2013: Presentazione nella Ambasciata Argentina in Italia del libro “Tango. I segreti di un ballo”.
2013: Invitata al Programa UNO MATTINA CAFFÈ, di RAI 1 il 18 novembre. Intervista RAI 1: http://www.youtube.com/watch?v=ZcwQgIP--Z8&feature=c4-overview&list=UUKQ-xo1IBk_KygzHcc1mqWQ

email:  batangoinfo@gmail.com

They said about Lidia Ferrari's Tango classes -

Hanno detto sulle lezioni di Tango di Lidia Ferrari:

Comentarios sobre nuestras clases de los alumnos:

»Jane Yardley, London, England - 2004
Tango lessons with Lidia Ferrari were a truly delightful experience. Lidia has every quality that defines a good and effective teacher: knowledge, patience, clarity, skill and passionate enthusiasm. She is also a delightful individual in her own right. I recommend her studio to dancers at all stages, from absolute beginner to experienced dancers who want to polish their tango skills."

»Betty Yardley, Norfolk, England 2004
"I had a good grounding in ballroom dancing but had never danced tango. With Lidia's excellent teaching technique I was able to adapt quickly and master the basics with no stress - and a lot of fun."

»Bill & Bonnie Burns - Fresno, California USA - (september 2005)
During a recent visit to Buenos Aires, my wife and I too instruction from Lidia and were exceptionally pleased with the results. We helped us to resolve an on-going problem and then ensured that the correction became instinctive. We enjoy her practical approach and highly recommend her instruction to others!

»Derrick del Pilar,  (Student of Arizona University). Tucson, Arizona, USA - 2006
In the group classes that I took with Lidia Ferrari, she was always very attentive to the needs of students, giving each of us different tips based on what we needed to improve. She made sure that everyone worked on the fundamentals of good tango--balance, posture, walk, and musicality--while also enjoying the dance. During private lessons, she gave carefully considered individual instruction that helped me improve my ability to improvise, connect with my dance partners, and express the music in creative ways. Lidia is an excellent teacher of social tango as it is danced in Buenos Aires.

» Derrick del Pilar: Nas aulas grupais que eu tinha com Lidia Ferrari, e la sempre dava muita atenção às necesidades dos alunos, e dava para cada um da gente conselhos diferentes, baseados nas coisa que tinhamos que melhorar. Asegurava que todos trabalhassemos o fundamental de um bom tango--balanço, postura, caminhata, e musicalidade--enquanto curtiamos da dança.Durante as aulas particulares, me dava instrução individual com muito esmero. Me ajudava muito em melhorar minhas habilidades de improvisação, conexão com a mulher no abraço, e expressão da música. Lidia é uma professora ótimo para aprender o tango social de Buenos Aires.


» Sonia Alvarado, Los Angeles, California - (26-12-2006)
I recently went to Buenos Aires on vacation and to learn tango. I researched dance instructors online prior to getting there and sent out a dozen e-mails inquiring about prices and availability. I picked Lidia because I liked her intuitiveness in her reply to my e-mail and her price was extremely reasonable. My two travel companions and I were very happy with my choice. She really took the time to teach us the proper form and balance which is a great foundation to start with (there are lots of people on the dance floor looking sloppy). She catered the classes to meet our needs and ability. She was also flexible with the schedule. We took classes every day and really enjoyed the experience. It was definitely one of the big highlights of the trip. By the end of our 10-day stay, we were feeling pretty good about our dancing. Not only is Lidia a good teacher, but she is a delightful person who we really enjoyed meeting and spending time with. Her assistants are also great and she made sure we always had someone to dance with in class. I highly recommend her.

» Kathleen Larkey - Vancouver, Canada - 2007
"Although just a beginner at learning tango, my private lessons with Lidia Ferrari helped me to really improve after only one week. She has a friendly personality and was very patient and encouraging.
I am looking forward to returning to Buenos Aires and more lessons with Lidia!"

» LK Barr - President, Barr Construction Inc. - Twain Harte, CA, Haapiti Moorea, Polynesie Francaise. 5/2007
"Lidia did an excellent job of giving me private tango lessons and helped me get the basics down quickly.
She understand the psychology of this splendid dance.
Her assistants were very good as well, in particular Lucia who seemed to dance like an angle.
I would recommend Buenos Aires Tango for quality tango lessons."

» Heather Blue - Texas, United States - 5/2007: 
"While in Buenos Aires for a business trip, my husband and I took a lesson with Lidia and were exceptionally pleased with the results. We are experienced in West Coast Swing dancing, but had never danced tango before. Lidia's instruction was clear, concise, and easily understood. Her passion and extensive knowledge of the dance was evident, and her personality and patience made for an informative, fun,
and well rounded experience. I would not hesitate to recommend Lidia to other individuals seeking instruction for tango".

» Jeanne-Marie Osterman, New York City (2008) 
 I feel so lucky to have found Lidia as a tango teacher while visiting Buenos Aires. She has such a clear way of explaining and showing what is truly important. No matter what your level, you can benefit from her precise technique. To this day, whenever I dance, before I approach my partner I remember the two little secrets she gave me. Everything else just flows from that.


» Divya from Bombay, India. (2008)
 Lidia: I was really lucky to find you on the net before I came to Buenos Aires. You answered all my queries in detail. You are a very good and sincere teacher and human being. I progressed really fast in my tango because you stressed so much on the fundamentals of posture, axis and distance. And of course practice. Also you took trouble to arrange a partner to dance with me in your class! I hope to return soon and learn more with you. Your classes were fun as well.

»  Michele Carron -  Lyon, France -  Juin 2011 (in Treviso, Italia)
Mon apprentissage du tango chez Lidia Ferrari:
 Je suis française et enseignante en allemand . L’an dernier je suis venue à Treviso (Italie) pour suivre des cours de tango individuels avec Lidia et avoir des conseils pour remédier à mes difficultés dans la danse. Je dansais alors le tango depuis 2 ans .J’avais 3 objectifs :
 -          Je voulais prendre conscience de mon axe et de l’axe interne à la danse.
-          Je désirais corriger ma posture et gagner en équilibre  pour être bien dans l’abrazo.
-          Je voulais mieux comprendre et être plus réceptive aux indications du partenaire.
Tout de suite apparurent d’autres difficultés liées à mon corps, à mes représentations et à mon mode de vie : Lidia prit donc tout ceci en compte pour me conduire petit à petit à une autonomie personnelle dont j’avais besoin. Voici quelques exemples :
La première chose que m’enseigna Lidia est la façon de marcher en avant et en arrière , de poser le  pied sans jamais «  tomber » et d’appuyer fort dans le sol : ceci me donna plus de confiance et j’ai pu acquérir plus d’équilibre.
La rigidité qui était présente dans mon corps était une difficulté récurrente ainsi que ma réticence pour aller dans le pas. Lidia, par sa mise en confiance, me permit de lâcher prise.
En ce qui concerne la posture elle m’a montré comment me placer devant mon partenaire
 en respectant l’axe autour duquel nous réalisons les figures ,comment ouvrir mes épaules , comment améliorer le port de la tête : ceci m’aida à être plus présente dans la danse. J’ai également appris à voir et à corriger ma position par rapport à mon partenaire pendant la danse , ceci était important pour acquérir plus d’autonomie et de confort pendant  la danse .
 Bien sûr j’ai fait aussi régulièrement  des exercices pour réaliser un joli boléo, de jolis 8  etc..
Mais le plus important c’est que j’ai pris conscience de la manière d’être  dans la danse afin que mon partenaire puisse réaliser son projet .
 Lidia a une manière d’enseigner qui me plait beaucoup, car elle est rigoureuse et exigente,  mais aussi capable  de beaucoup de  patience  et de mettre son élève en confiance. Elle a des objectifs simples mais déterminés.
 J’ai un excellent souvenir des cours avec Lidia, de mon séjour chez elle et de sa manière d’être: simple, humaine  et déterminée. A mon retour en France  on a pu constater un changement dans ma façon de danser : une meilleure allure et plus d’énergie dans les pas.

» Michael Young, Florida (2013) During August 2013 I attended classes with Lidia at her Studio in Buenos Aires. We met twice a day for 4 weeks and concentrated on Tango Salon.
First Lidia corrected problems I had encountered from earlier teachers, We worked on posture, she then taught me to lead while polishing up walking and basic figures.
Lidia introduced me to Lucila who danced with me for practice, Lucila and her husband Marcello host their own Milonga on Sunday evenings.
My experience with Lidia was first class, she is insists on doing everything perfectly and pushed me hard to reach a good standard.
I was very pleased when I attended a live music Milonga with Lidia and she gave me an excellent report.
Following my visit to Lidia, I feel much more confident in my Tango dancing.  



» V.B. (Cremona) Luglio 2015
 Carissima Lidia,
Dopo il corso intensivo e le successive pratiche nelle milonghe estive, desidero confermarti la validità della tua metodica d’insegnamento personalizzato.
Grazie a te, grazie allagiusta atmosfera relazionale nelle lezioni, ora posso abbracciare e condurre gradevolmente la ballerina, camminare piacevolmente sulle note, ballare serenamente in coppia. Presto tornerò da te, per continuare la mia ricerca  d’interpretare il tango. Grazie tante.
 .........................................
www.buenosairestango.comtee


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Il nostro pensiero - Mis orígenes italianos

http://www.buenosairestango.com/docum/homdoc1.html

ón permanente.

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Mis orígenes italianos – Lidia Ferrari

En el año 2005 publiqué un artículo en un periódico italiano “Il Popolo Veneto” que se llamó “Desheredados de historia” (en Italiano y en Español más abajo). Allí hablaba de mi falta de conocimiento de mis orígenes italianos y de cuántos argentinos venimos de un corte con una historia previa, a raíz del fuerte contenido inmigratorio de nuestros orígenes. Esto era, sin duda, producto de mi experiencia personal de casi total desconocimiento sobre mis ancestros italianos. En febrero de 2007, teniendo que viajar a dar clases de tango a zonas cercanas al pueblo donde, me había enterado hacía poco tiempo, era oriundo mi bisabuelo Ferrari, fui a conocer el lugar. Y cuán grande fue mi sorpresa, mi emoción. Fue un acontecimiento que me religó a esos orígenes desconocidos. Debería escribir otra historia después de esto. Pero hice estos videos, donde narro esa emocionante experiencia.
Son videos cortos, de alrededor de 5 minutos. Recomiendo el primero y, sobre todo, el último.

Capitulo 1:
http://www.youtube.com/watch?v=4rSHhGH4S5M
Capitulo 2:http://www.youtube.com/watch?v=gVxjvQaft0c
Capitulo 3:http://www.youtube.com/watch?v=EadgIl7sadg
Capitulo 4: http://www.youtube.com/watch?v=JDHfm7ODZmw


I Diseredati della Storia
Lidia Ferrari

Da dove veniamo?

Quante generazioni sono necessarie per rivedere una storia, per scoprire un’eredità, per ricostruire una genealogia? Molte generazioni, e solo per avvicinarsi un poco ad alcuni dei misteri che ci appartengono. La meta, quando la si raggiunge, coinvolge il grande villaggio, il vicinato, il clan e la propria vita. In questo caso, la scusa di una richiesta di un giornalista italiano, interessato a sapere qualcosa dei nipoti discendenti di emigrati italiani, ha messo in moto ciò che segue.
Sarà che abbiamo bisogno che quelli rimasti nei luoghi da dove veniamo si ricordino di noi?
Il tempo, supremo creatore, esige che noi che cerchiamo la risposta ad alcune domande che sono rimaste insolute per molti anni.
Questo piccolo racconto è quasi un pensiero a voce alta di una discendente di emigrati italiani, su qualcosa che sospetto sia una parte tanto della mia persona, quanto di questa cultura Argentina (se esiste).
Essere l’ultima di trentadue nipoti di una nonna materna italiana, analfabeta e la figlia ultima fra tre fratelli dell’ultima figlia fra tredici fratelli della stessa nonna, ed essere l’ultima di tutti quelli ad ereditare il suo nome di battesimo, è qualcosa di insolito. Sì, perché normalmente nelle trasmissioni familiari sono i primi figli, quelli che ereditano il nome dei loro antenati. Si potrebbe pensare ad un sottile filo che lega una genealogia che quasi non si nota. In discendenza paterna, i miei nonni erano argentini, figli di italiani, e tutto sembrava normale. Altrettanto normale, è che non mi sarebbe arrivata alcuna informazione (referenza) dall’Italia e, tanto meno dei nostri antenati italiani. La norma era pensare che uno era nato sotto un cavolo, ma Argentino.

L’eredità di uno sradicamento

La curiosità di sapere del passato di questi nonni italiani, dell’Italia che hanno lasciato alle loro spalle, non era molto sentita fino a poco tempo fa. C’erano complicazioni, domande che quasi non trovavano risposta. Inquietudini e dubbi continui. Ma arrivò il momento di fare la domanda che non mi ero fatta: Come può esser stato tanto netto il taglio, da lasciar tutto in una dimenticanza così totale? E immediatamente mi apparve una risposta che è frutto della mia esperienza, e condivisa anche da altre persone: è lo sradicamento in cui viviamo. Qui comincerò a zigzagare nel mio personale e in quello di tutti, la singola esperienza e quella che diviene generale (che definirei ambigua), ma che può rappresentare l’argentinità. La risposta spontanea a questa domanda, era che lo sradicamento che sentivo verso questo luogo in cui abitavo (mio ma non tanto mio) dovrebbe essere condivisa da quegli stessi che, come me, avevano rotto i loro vincoli e mai più avevano parlato dalla terra da cui provenivano. Venni a conoscenza che qualcuno aveva detto (credo Marco Tenevi) che noi Argentini, siamo ospiti di hotel. Viviamo una transitorietà che è espressione della dimenticanza di ciò che è proprio. Non è nostro il luogo dove viviamo. Perché preservarlo?

Cercando il futuro si trova il passato

Quando in tanti cominciammo a pensare di ottenere la cittadinanza italiana, in piena crisi anni novanta, non trovammo solamente una carta che ci avrebbe aperto le porte dell’Europa. In verità quello che cominciò ad aprirsi, fu una riflessione sulla propria storia. Aprire la porta verso la scoperta di quello che mi ha portato a trovare ciò che ignoravo e che forse avrei dovuto sapere. In questo fenomeno di massa per ritrovare le cittadinanze perdute, non soltanto molti sono emigrati, ma addirittura hanno scatenato un ritorno al passato. Le loro vite cambiarono non solo perché pensavano di emigrare (lo realizzassero o no), ma anche perché dovettero per forza guardare indietro. Non solo si cercavano documenti: si scoprivano storie in essi. Grazie a questo momento di bisogno per cercare la salvezza personale, per uscire da questo stato di disperazione collettiva, nell’incontro con quello che avrebbe potuto darci un’altra nazionalità, si infiltrarono scoperte sorprendenti e storie impensate. Questo che era un andare alla ricerca di un futuro e una rottura con il presente obbligò ad un ritorno al passato. Alcuni vennero a conoscenza delle loro origini ebraiche nascoste nei loro cognomi. Vennero a conoscenza che i loro genitori non erano tali. Nel film “El Abrazo Partido” [“L’Abbraccio Spezzato”, tradotto in Italia come “L’Abbraccio Perduto”] del 2003 si riflette questo apparente paradosso nella storia di questo giovane che nella ricerca di un futuro in un altro luogo, per spezzare certi legami, si scontra con il passato del padre e della nonna. Si trova così di fronte al suo stesso passato. Con le menzogne, i misteri e le verità non dette.

Sradicamento e non più nostalgia

Però, al di là di queste storie personali che commuovono ciascuno come essere unico perché gli cambiano il copione che stava vivendo, al di là di questi ritrovamenti ed esumazioni, si scatenò un processo collettivo per cui quello che si era dimenticato, sepolto, ignorato rinasceva in una speranza di ritorno alle origini. Niente di nostalgico, né tanto meno romantico: solo la crudele necessità di trovare un rifugio obbligava gli individui a tornare indietro alla ricerca di un futuro. La ricerca di documenti ci portò a trovare vite, circostanze, sventure e destini di quelli che avevamo dimenticato, quando non addirittura sempre ignorato. Per questo, sebbene è certo che il colore della nostalgia sta nelle liriche di tango e in tutta la nostra cultura, credo che più forte della nostalgia è lo sradicamento. Nostalgia si ha da ciò che si è amato e che poi si è perso. Lo sradicamento è il taglio, è la rottura, è quasi l’indifferenza o l’allontanamento, quando lo si ottiene. Il taglio che dovettero attuare coloro che emigrarono deve averli coperti di nostalgia, di idealizzazione di ciò che è perso. Però la nostra immigrazione, soprattutto, era composta da gente che aveva rotto con le proprie origini in modo netto, quasi totale.

In principio era il nulla

Molti analfabeti, alla fine del XIX secolo, con mezzi di comunicazione precari, sapevano (chissà, forse neppure lo sapevano) che non sarebbero ritornati alla loro terra. Esiliati per propria volontà, per necessità o per forza, arrivavano ad una terra sconosciuta e tutto ricominciava di nuovo. Questo cominciare dal nulla è stata l’eredità più forte che costituisce una parte della cultura argentina. Questo iniziare da zero e senza domandare è tipico di noi. È quasi quello che facciamo tutti i giorni. Nessuno si lamenta di questo. Il difficile è cominciare da un’eredità e da qualcosa già preconcetta, da orme che segnano il cammino. C’è quasi una resistenza a storicizzare la vita, la cultura. Appartenere a qualcosa che esiste da prima di noi. A identificare tradizioni.
Fu nel momento dell’arrivo, nel mettere piede in una terra sconosciuta, dove sarebbe potuta iniziare una storia molto legata al passato, ma molti di quelli che arrivarono, non raccontarono ai loro figli da dove venivano. Volevano facilitare la loro integrazione nel nuovo mondo. Pensavano che la lingua era un ostacolo, pertanto non li obbligarono a conoscerla. Molti figli mai appresero l’italiano, il francese, il giapponese dei loro genitori. Quelli appena arrivati persero piano piano la loro lingua, inventando forme ibride, date dall’accento e dalla cadenza che loro portavano. Parlavano la loro lingua solo con la loro compagna o con i loro amici, però non con i figli. Il rifugio nella malinconia per quello che lasciavano alle loro spalle, mutò nell’urgenza di andar avanti, nell’indurirsi e lavorare. Dovevano combatterla. Al negare ai figli la trasmissione del loro dolore, del loro sradicamento, del loro passato, negarono loro anche un’eredità, li diseredarono di storia. Però, allo stesso tempo, questi genitori tagliarono per loro stessi un legame di continuità con i loro figli. Non poterono condividere con loro la felicità, la sfortuna e la nostalgia. Però non è che volessero portare via un’eredità ai loro figli. Tutto il contrario. Volevano procurare loro un futuro. Il futuro era nella nuova terra, nella nuova lingua, nella nuova cultura. Dovevano lasciare il passato alle loro spalle.
Quelli che portarono avanti questa impresa furono quegli emigrati. Soffrirono loro il taglio e in qualche modo trasmisero la fenditura. E si continua a trasmettere. Perché da lì si fondò una nuova patria.
Perché se gli emigrati fossero stati pochi, questi pochi arrivando a un’altra cultura o a un’altra lingua, il nuovo luogo li avrebbe sottomessi a un’altra storia, ad altri costumi. Ma siccome furono milioni, e maggioranza per un lungo periodo, fondarono un modo di vivere dove solo il futuro esiste e dove la storia si scrive giorno per giorno. Se siamo figli delle navi come si dice, abbiamo imparato a staccarci dal porto e dalla nave. Siamo figli di quelli che scendevano dalle navi e che decisero di lasciarsi tutto alle spalle e cominciare senza storia. Salpati i genitori dai loro paesi, generarono figli sradicati da loro stessi e dai loro genitori.
Nel film “Kaos”, i fratelli Taviani raccontano varie storie. La prima, tratta da un racconto di Pirandello, “L’altro figlio”, narra la storia di una madre, all’inizio del XX secolo, che piange per i suoi due figli che sono emigrati in America. Questa madre aspetta notizie che non arrivano. E siccome è analfabeta, si avvicina alla strada dove passano ogni anno tutti quelli che vanno a emigrare, e consegna loro lettere che precedentemente aveva dettato alla vicina, nella speranza che possano consegnarle ai suoi figli. Dopo quindici anni di identici rituali, scopre che la persona che scriveva le lettere, faceva solo scarabocchi. Questo la intristisce in un primo momento, però poi le dà un soffio di speranza. Pensa che i figli non le avevano mai scritto, perché mai avevano ricevuto le sue lettere. Una maniera efficace di smentire un’evidenza: la perdita dei suoi figli. Questi figli che andarono a cercare un nuovo destino, ruppero il legame in modo assoluto con il loro passato, con la loro madre. È il racconto di una separazione definitiva.

Una storia in mancanza di storia

Dalla parte dei discendenti degli emigrati, la vita si scrisse proprio negando questa realtà: l’eredità della storia dell’altro continente. Si scriveva una nuova storia. Gli svantaggi di quel taglio sono quelli dello sradicamento, la mancanza di eredità e continuità con la storia. Molti danni si sono contati. E’ l’essere ospiti di un hotel a cui non si presta attenzione perché di altri.

Ma ha dato anche dei profitti. Una terra provvista di risorse, di opportunità permise loro di concentrare tutta l’energia nel costruire un futuro migliore per i figli. Molti ci riuscirono. Si è parlato del grande movimento sociale che permise a genitori analfabeti di dare ai propri figli cultura universitaria. La crescita culturale grazie al taglio, permise di fondare una nuova cultura. Quella degli ibridi, della mescolanza, dell’”ammasso in fermentazione” come lo chiama Fernando O. Assuncao. Per quanto sia difficile trovare dentro di noi virtù, alcune risaltano: la curiosità e l’impegno, il coraggio e l’ardimento, il "riparare le cose con un fil di ferro". Il cominciare da capo. Il cosmopolitismo che ha origine dalla mescolanza e dalla mancanza di tradizione e legami. In certi casi la libertà di pensiero.
Mi sento identificata con questa storia. C’è una patria nello sradicamento e nella mancanza di storia. Siamo in molti a raccontare lo stesso racconto, con più o meno parole trasmesse, con più o meno taglio o nostalgia, però se noi ci riuniamo condividiamo più o meno lo stesso. Noi condividiamo gli stessi misteri, le stesse domande.

Mi hanno chiesto di scrivere, non casualmente dall’Italia e questo provoca, come andando a cercare le carte di famiglia, l’incontro con altri interrogativi che portano a altri enigmi. Mio nonno nacque in Italia o in Argentina? Erano ricchi o poveri? Che accadde a quelli che rimasero là? Qualcuno rimase là? E a questi cosa successe? Cos’hanno fatto? Che pensavano? Che sentivano? Cosa li ha fatti emigrare? Per poco la curiosità si affievolisce, ma solo per dare spazio a nuove incognite.


Ospitali con lo straniero

Forse questa storia avrà contribuito a sviluppare in molti argentini il senso dell’ospitalità verso lo straniero. Non sentiamo che questa è la nostra casa, ma quando qualcuno arriva da fuori, subito nascondiamo la sporcizia sotto il tappeto, tiriamo fuori i vestiti migliori e sorridiamo. Ci rallegrano le visite degli stranieri e che ci parlano di noi. Come se ci dessero identità. Facciamo loro festa e a volte siamo ingenui e stupiti. Però ci piace. Quando ripartono riprendiamo la nostra aria malinconica, riappare il lamento e continuiamo a sopportare la vita. Ma ogni ritorno di ogni straniero ci lascia un sapore migliore che ci fa riflettere su ciò che ci appartiene. Ci aiuta ad apprezzare i “jacarandaes” che fioriscono a Buenos Aires a novembre. Prima non li vedevamo. Ci parlano della nostra simpatia, del nostro calore, della nostra cultura. La possedevamo prima che arrivassero?

In questo senso lo sguardo idealista verso l’Europa è andato cambiando ma non si è perso. Quello che di buono viene dall’Europa è presente. Ma questo sguardo affascinato non fu quello stesso di quegli europei che ci hanno preceduto, gli europei dai quali discendiamo. Dal discorso di Sarmiento e Alberdi fino ad oggi, non è buono ciò che noi siamo, né da dove veniamo. Sempre l’altro è ciò che vale.

L’arroganza dell'indigenza

Nel mio caso personale (come in quello di tanti altri) lo sradicamento, mi donò certe capacità e me ne negò altre. Mi donò l'arroganza della possibilità di costruire da zero, di creare, di inventare, di sostenere ciò che è proprio contro tutto, di iniziare da capo se necessario, di espandere il confine della comunità e tentare di indovinare un mondo al di là. Mi donò un orgoglio che un po’ tardi si convertì in virtù, perché la scarsezza aveva il valore di un ostacolo. L'occasione che si tramutasse in orgoglio venne nel vedere che con la scarsezza si può creare, si può inventare. Viviamo in un mondo dove l’abbondanza di una parte impone la sua presenza planetaria e impone come supremo valore la possibilità di consumare senza limiti, in eccesso. La scarsezza può essere il motore, in questi paesi in cui viviamo, può mettere in moto qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.

Emigrati per desiderio o una emigrazione silenziosa

Quello che apparentemente è contraddittorio è che, nello stesso tempo in cui tanti vogliono andarsene, tanti altri che provengono da paesi lontani vogliono venire qui, si avvicinano, ci visitano e vogliono restare qui. Non si fanno le stesse domande, ma vengono qui a godere di qualcosa che in “Europa non si trova”. E comincia una emigrazione quasi impercettibile però forte, precisa. Una migrazione silenziosa, al rovescio. Molti dall’Europa, dal Canada, dall’Asia, dagli USA vogliono venire a vivere in questo paese. E ci riescono. E se non lo ottengono viaggiano di continuo. Ho conosciuto molti che hanno cominciato con il tango e si ingegnarono per viaggiare con frequenza verso questo paese. Molti, con il passare del tempo, si sono trasferiti qui. È un tipo diverso di emigrazione. È una migrazione per desiderio. Non la alimenta né la necessità economica, né la persecuzione politica, né la ricerca di un futuro per i loro figli. L’alimenta il desiderio di vivere meglio in una terra che di nuovo, ma in altro modo, promette qualcosa che in Europa e USA non si trova. Questi che emigrano per elezione possono ritornare alle loro origini, quando vogliono, ma preferiscono vivere qui. Queste terre avranno qualche magia, nonostante tutto, perché in molti continuino a volerle scegliere. Qualcosa di questo sguardo dovremmo prendere, per riappropriarci di ciò che già è nostro, una volta per tutte.


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Los desheredados de historia - Lidia Ferrari

¿De dónde venimos?
¿Cuántas generaciones son necesarias para revisar una historia, para descubrir una herencia, para reconstruir una genealogía? Varias descendencias para aproximarnos un poco a algunos enigmas que nos pertenecen. La tarea, cuando se realiza, compromete a la gran aldea, al vecindario, al clan y a la propia vida. En este caso la excusa de un pedido, el de un periodista italiano interesado por saber algo de los nietos de los emigrados italianos, puso a andar esto que se escribe aquí. ¿Será que necesitamos que aquellos de donde venimos se acuerden de nosotros? El tiempo, supremo hacedor, nos exige continuar algunas preguntas que quedaron en suspenso durante tantos años.
Este pequeño relato, es casi un hablar en voz alta como descendiente de inmigrantes italianos, sobre algo que sospecho forma parte tanto de mí como de esta cultura (si es que la hay), la argentina.

Ser la última de treinta y dos nietos de una abuela materna italiana analfabeta y la última hija de entre tres hermanos de la última hija de entre trece hermanos de esa abuela, y ser la única de entre todos ellos en heredar su nombre, es algo insólito. Por lo general en las transmisiones familiares son los primeros hijos los que heredan el nombre de sus ancestros. En este caso, alguien casi colgando de un árbol familiar, como último retoño inesperado hereda ese nombre. Podría pensarse en un frágil cabo que ata a una genealogía que, por lo demás, casi ni se nota. De la línea paterna, mis abuelos eran argentinos hijos de italianos y todo parecía más normal. Lo normal era que no me hubiera llegado casi ninguna referencia de Italia y nuestros ancestros italianos. Lo normal era pensar que uno había nacido de un repollo, pero argentino.

La herencia de un desarraigo
La curiosidad por saber del pasado de esos abuelos italianos, de la Italia que dejaron atrás, no fue demasiada hasta no hace mucho tiempo. Había enigmas, preguntas que casi no alcanzaban a realizarse. Inquietudes y dudas al pasar. Pero llegó el momento de hacer las preguntas que no me había hecho. ¿Cómo puede haber sido tan fuerte el corte como para que quedara todo tan olvidado? Y rápidamente apareció una respuesta que me sumergía en lo propio pero en algo más compartido: es el mismo desarraigo en el que vivimos. Aquí comenzaré a zigzaguear entre lo personal y lo de todos, lo singular con aquello que hace a una generalidad (siempre equívoca) pero que puede habitar lo argentino. La respuesta espontánea a la inquietud era que el desarraigo que sentía hacia este lugar en el que yo habitaba, mío pero no tan mío, propio pero no tan propio, ajeno pero no tan ajeno, debía provenir de esos que también rompieron amarras y nunca más hablaron del lugar de donde venían. Me enteré después que alguien había dicho (creo que Marco Denevi) que los argentinos somos huéspedes de hotel. Vivimos una transitoriedad que puede explicar el descuido por lo propio. No es nuestro el lugar donde vivimos. ¿Para qué cuidarlo?
[i]

Buscando un futuro se encuentra el pasado
Cuando tantos comenzamos, en plena crisis de la década del noventa, a pensar en buscar la nacionalidad italiana, no sólo íbamos al encuentro de un papel que nos abriera las puertas de Europa. En verdad lo que se comenzó a abrir es una reflexión sobre la propia historia. Abrir la puerta hacia el develamiento de aquello que, como en mi caso, me llevó a descubrir lo que ignoraba, y que quizá debería haber sabido. Pero con ese fenómeno masivo de la urgencia por rescatar nacionalidades perdidas, no sólo muchos emigraron, sino que esas personas desencadenaron una vuelta hacia su pasado. Sus vidas cambiaron no sólo porque pensaban en emigrar (lo realizaran o no), sino porque forzosamente tuvieron que mirar hacia atrás. No sólo se buscaban papeles. Se descubrían historias en ellos. A través de esa urgencia por encontrar alguna salvación personal para salir de ese estado de desesperación colectiva, en el encuentro con lo que nos podría dar otra nacionalidad, se filtraron descubrimientos sorprendentes, historias impensadas. Eso que era ir a la búsqueda de un futuro y una ruptura con el presente, obligó a una vuelta al pasado. Algunos se enteraron de su origen judío oculto en los apellidos. Se enteraron que su padre no lo era. En la película “El Abrazo Partido” de 2003 se refleja esa aparente paradoja en la historia de ese joven que, en su búsqueda de un futuro en otro lugar, para romper con ciertas ataduras, se encuentra con su pasado, el de su padre, el de su abuela. Se encuentra con su propio pasado. Con las mentiras, los misterios y las verdades no dichas.

Desarraigo y no más bien nostalgia
Pero más allá de esas historias personales que, a cada uno, como único ser lo conmocionan porque le cambian el libreto que estaba viviendo, más allá de esos hallazgos y exhumaciones se desencadenó un proceso colectivo por el cual, aquello que se había olvidado, sepultado, ignorado, renacía en una esperanza a esa vuelta a los orígenes. Nada nostalgioso ni romántico, sólo la cruel urgencia de encontrar un refugio obligaba a volver para atrás en la búsqueda de un futuro. La búsqueda de papeles nos llevó a encontrar vidas, circunstancias, desventuras y los destinos de esos que ya habíamos olvidado, cuando no ignorado siempre. Por eso, si bien es cierto que el tinte de la nostalgia está en las letras de tango y en toda nuestra cultura, creo que más fuerte que la nostalgia es el desarraigo. Nostalgia se tiene de aquello que se amó y se perdió. El desarraigo es el corte, es la ruptura, es casi la indiferencia o el desapego, cuando se logra. El corte que debieron efectuar los que emigraron los debe haber cubierto de nostalgia, de idealización por lo perdido. Pero nuestra inmigración, sobre todo, era de gente que rompió con sus orígenes de un modo neto, casi total.

En el comienzo era la nada
Muchos analfabetos, a fines del siglo XIX, con medios de comunicación precarios, sabían (quizá ni siquiera lo sabían) que no regresarían a su tierra. Desterrados por propia voluntad, por necesidad o por fuerza llegaban a un suelo desconocido y todo comenzaba de nuevo. Este comenzar desde la nada ha sido la herencia más fuerte que constituye cierta cultura argentina. Este iniciar desde cero y sin preguntar nos habita, nos concierne. Es casi lo que hacemos todos los días. Nadie se queja de ello. Es más. Lo difícil es comenzar desde una herencia, desde algo ya preconcebido, desde huellas que nos señalan un camino. Hay casi una resistencia a historizar la vida, la cultura. A pertenecer a algo que nos preexiste. A identificar tradiciones.

Fue en el momento del arribo, al pisar tierra firme, donde podría haber comenzado a escribirse otra historia, una historia más vinculada con el pasado. Pero muchos de los que llegaron no les contaron a sus hijos de dónde venían. Querían facilitarles su inclusión en un nuevo mundo. Pensaban que la lengua era un obstáculo, por lo tanto no les exigieron conocerla. Muchos hijos jamás aprendieron el italiano, el francés, el japonés de sus padres. Los recién llegados fueron perdiendo poco a poco su lengua, inventando formas híbridas, dadas por el acento o la cadencia que traían. Hablaban su idioma, cuando lo hacían, con su pareja o con sus amigos, pero no con sus hijos. El cobijo en la añoranza por lo que quedaba atrás fue mudado en la urgencia por la instalación, en la necesidad de seguir adelante, en endurecerse y trabajar. Había que pelearla. Al negarles a sus hijos la transmisión de su dolor, de su desarraigo, de su pasado les negaron una herencia, los desheredaron de historia. Pero al mismo tiempo, esos padres cortaron para ellos mismos un lazo de continuidad con sus hijos. No pudieron compartir con ellos su felicidad, sus infortunios, sus nostalgias
[ii]. Pero no fue para quitarles a sus hijos una herencia. Todo lo contrario. Querían proporcionarles un futuro. El futuro estaba en la nueva tierra, en la nueva lengua, en la nueva cultura. Había que dejar atrás el pasado.
Los que llevaron adelante la tarea fueron esos inmigrantes. Sufrieron ellos el corte y de algún modo transmitieron la hendidura. Y se sigue transmitiendo. Porque desde allí se fundó una nueva patria. Porque si los inmigrantes hubieran sido algunos, algunos pocos arribando a otra cultura o a otra lengua el nuevo sitio los sometería a ellos a otra historia, a otros modos. Pero como fueron millones, y mayoría durante un largo tiempo, fundaron un modo de habitar, de vivir donde sólo el futuro existe y donde la historia se comienza a escribir todos los días. Si somos hijos de los barcos, como se dice, se ha aprendido a desamarrarse del puerto y del barco. Somos hijos de los que bajaban y decidieron dejar todo atrás y empezar sin historia. Desamarrados los padres de sus patrias engendraron hijos desarraigados de ellos mismos y de sus padres.
En la película Kaos, los hermanos Taviani narran varias historias. La primera, sobre un cuento de Pirandello, “L´altro figlio”, narra la historia de una madre, a principios de siglo XX, que llora por sus dos hijos que han emigrado a América. Esta madre espera noticias que no llegan. Como es analfabeta, se acerca al camino por donde pasan, cada año, esos otros que también van a emigrar. Le dicta a su vecina, cada vez, una carta para sus hijos que alguno de los que emigra llevará en su bolsillo. Después de quince años de hacer el mismo ritual descubre que la persona que le escribía las cartas sólo hacía garabatos. Esto la entristece en un primer momento, pero luego le da un soplo de esperanza. Piensa que sus hijos nunca más le escribieron pues no habían recibido sus cartas. Una forma eficaz de desmentir una evidencia: la pérdida de sus hijos. Esos hijos que se fueron a buscar un nuevo destino rompieron el lazo de modo absoluto con su pasado, con su madre. Es la narración de una separación definitiva.

Una historia en la falta de historia
De este lado, el de los descendientes de inmigrantes, la vida se escribió desalojando precisamente eso, la herencia de la historia del otro continente. Se escribía una nueva historia. Las desventajas de tal corte son las del desarraigo, de la falta de herencia y continuidad en la historia. Muchos perjuicios se han contado. Ser huéspedes de un hotel que no se cuida por ajeno.

Pero también ha habido provechos. Una tierra proveedora de recursos, de oportunidades les permitió poner toda la energía en construir para los hijos un futuro mejor. Muchos lo lograron. Se ha hablado de la gran movilidad social que permitió a padres analfabetos darle a sus hijos estudios universitarios. El crecimiento cultural a través del corte permitió fundar una nueva cultura. La de la hibridez, la de la mezcla, la del “amasijo fermental” como lo llama Fernando O. Assuncao
[iii]. Aunque sea difícil encontrarnos virtudes algunas se destacan: la curiosidad y el empeño, la osadía y el atrevimiento, el arreglar las cosas con alambre. El empezar de nuevo. La cosmópolis que se origina en la mezcla y la falta de tradición y ataduras. En ciertos casos la libertad de pensamiento.

Me siento identificada con esta historia. Hay una patria en el desarraigo y en la falta de historia. Somos muchos que contamos el mismo cuento, con más o menos palabras transmitidas, con más o menos corte o nostalgia, pero si nos reunimos compartimos más o menos lo mismo. Nos encuentran los mismos enigmas, las mismas preguntas.

Me han pedido que escriba, no casualmente desde Italia, y eso desencadena, como al salir a buscar los papeles de la familia, el encuentro con más interrogantes que llevan a otros enigmas. ¿Mi abuelo nació en Italia o en Argentina? ¿Eran ricos o eran pobres? ¿Qué pasó con los que quedaron allá? ¿Alguien quedó allá? ¿Cómo hicieron? ¿Qué pensaban? ¿Qué sentían? ¿Qué los hizo emigrar? Por momentos la curiosidad se opaca porque sólo abre a nuevas incógnitas.

Hospitalarios con el extraño
Quizá esta historia haya contribuido a desarrollar en muchos argentinos el sentido de la hospitalidad hacia el extranjero. No sentimos que esta sea nuestra casa pero cuando llega alguien de afuera, rápidamente escondemos la mugre bajo la alfombra, sacamos a relucir las mejores pilchas y sonreímos. Nos alegra que nos visiten extranjeros y que nos hablen de nosotros. Como si nos dieran identidad. Los agasajamos y hasta somos ingenuos y otarios con ellos. Pero nos gusta. Cuando parten de nuevo retomamos nuestro aire melancólico, aparece la queja y seguimos yugándola. Pero cada vuelta de cada extranjero nos deja un mejor sabor para mirar lo propio. Nos ayuda a valorar los jacarandaes que florecen en Buenos Aires en noviembre. Antes no los veíamos. Nos hablan de nuestra simpatía, de nuestra calidez, de nuestra cultura. ¿La poseíamos antes que llegaran?

En ese sentido la mirada idealista a Europa fue mudando pero no se ha perdido. El que lo bueno viene de Europa está presente. Pero esa mirada fascinada no lo fue para con los europeos que nos anteceden, los europeos de donde venimos. Desde el discurso de Sarmiento y Alberdi hasta el presente no es bueno aquello que somos, ni de donde venimos. Siempre lo otro es lo que vale.

La arrogancia de la escasez
En mi caso personal ese desarraigo, como para tantos otros, me obsequió ciertos atributos y me negó otros. Ciertas arrogancias en la posibilidad de construir sobre cero, de crear, de inventar, de sostener lo propio pese a todo, de comenzar nuevamente de ser necesario, de expandir los límites de la aldea e intentar adivinar un mundo más allá. Un orgullo que un poco tarde se convirtió en virtud, pues, como para tantos, la escasez tenía el valor de un impedimento. La posibilidad que se convirtiera en orgullo la dio ver que con ella se puede crear, se puede inventar. Vivimos en un mundo donde la abundancia de un lado impone su presencia planetaria e impone como supremo valor la posibilidad de consumir sin límites, en exceso. La escasez
[iv] puede ser motor, en estos países que habitamos, de poner a andar algo nuevo, algo diferente.

Emigrantes por deseo o una emigración silenciosa
Lo aparentemente contradictorio es que, al mismo tiempo que tantos quieren irse
[v], tantos de esos países lejanos quieren venir aquí, se acercan, nos visitan y quieren quedarse. No se hacen las mismas preguntas pero vienen aquí a disfrutar de algo que “en Europa no se consigue”[vi]. Y se va produciendo una emigración casi imperceptible pero fuerte, precisa. Una migración silenciosa, al revés. Muchos[vii] de Europa, de Canadá, de Asia, de USA quieren venir a vivir a este país. Y lo logran. Y si no lo alcanzan viajan en forma continua. He conocido muchos que comenzaron con el tango y se ingeniaron para viajar con frecuencia a este país. Varios, con el paso del tiempo se han instalado aquí. Es un tipo diferente de emigración. Es una emigración por el deseo. No la alimenta ni la necesidad económica, ni la persecución política, ni la búsqueda de futuro para los hijos. La alimenta el deseo de vivir mejor en una tierra que nuevamente, de otro modo, promete algo que en Europa y USA no se encuentra. Estos que emigran por elección pueden volver a sus orígenes, todo el tiempo, pero prefieren habitar aquí. Alguna magia tendrán estas tierras, pese a todo, para que sigan muchos queriendo adoptarla. Algo de esa mirada deberíamos tomar para poder apropiarnos de lo que ya es nuestro, de una buena vez.


Artículo publicado en Italiano en “Il Popolo Veneto”, Nro. 6, abril, 2005. Italia. www.ilpopoloveneto.it

[i] Esta interpretación de no cuidar lo propio porque se vive como ajeno sin duda adolece de ciertos defectos éticos. ¿Por qué descuidar lo ajeno, se podría preguntar? El descuido explicado de ese modo habla de una ruptura con el nosotros, con algo colectivo que merece nuestro amparo. Sin duda es un argumento que justifica la adjudicación de individualistas que padecemos.
[ii] Tómense estas líneas como un desliz literario. Muchas familias no se representarían en esta descripción. Esta surge de mi historia, singular por cierto, pero compartida por muchos otros. No está autorizada ninguna generalización que involucre a un todo homogéneo.
[iii] Fernando O. Assuncao “El Tango y sus circunstancias (1880-1920)”. Librería El Ateneo. Buenos Aires. 1984.
[iv] Interesante tema interrogar qué es abundancia y qué la escasez desde esta perspectiva. ¿Quiénes son los pobres y quiénes son los ricos?. Pero es tema para otra oportunidad.
[v] Estoy escribiendo esto, a comienzos del 2005, cuando la gran oleada de emigración ha pasado, al menos el furor que hacía huir o, al menos, pensar en huir en los finales de la década del 90 y a comienzos del 2000. La emigración se sigue produciendo pero no en la forma desesperada y masiva de esos años.
[vi] “en Europa no se consigue” es una frase muy usada popularmente en Argentina para valorar lo propio, dicha en tono irónico. Es una ironía para afirmar lo propio, generalmente nimiedades. Una frase autoirónica acerca de cierto complejo de inferioridad respecto de Europa.
[vii] Este muchos es relativo. No se trata de una emigración masiva como la que existe a escala mundial desde los países pobres a los países ricos. Pero de todos modos, habla de que hay una migración silenciosa que tiene otra dirección y que revela los valores que se ponen en juego en toda búsqueda humana. La pregunta es qué vienen a buscar aquí los que emigran desde los países ricos.